L’inattività fisica e il COVID-19

Lo studio americano su 48.440 pazienti adulti

Pubblicato sul “British Journal of Sports Medicine” lo studio osservazionale retrospettivo condotto nel centro sanitario integrato Kaiser Permanente Southern California (KPSC), che ha dimostrato come il rispetto delle linee guida statunitensi sull’attività fisica, incida positivamente sugli esiti da COVID 19, riducendone gli esiti gravi tra gli adulti infetti.

I ricercatori hanno identificato 48.440 pazienti adulti con una diagnosi COVID-19 dal 1° gennaio 2020 al 21 ottobre 2020, collegando il grado di attività fisica a cui si erano sottoposti negli ultimi due anni (da un minimo di 10 minuti a più di 150 minuti a settimana, suggerito dalle linee guida) al rischio di ospedalizzazione, di ricovero in terapia intensiva e di morte dopo la diagnosi di COVID-19.

Dopotutto sono diversi gli studi scientifici che stabiliscono il miglioramento della funzione immunitaria con l’attività fisica regolare, e un’incidenza inferiore di intensità dei sintomi e mortalità per varie infezioni virali, per coloro che sono regolarmente attivi.

“L’attività fisica regolare riduce il rischio di infiammazione sistemica, che è una delle principali cause di danno polmonare causato da COVID-19 – si legge nell’introduzione allo studio – ; inoltre, l’esercizio è benefico per la salute cardiovascolare, aumenta la capacità polmonare e la forza muscolare e migliora la salute mentale”.

Dunque il paradosso è proprio qui, che alle popolazioni di tutto il mondo è stato consigliato di rimanere a casa ed evitare contatti con individui al di fuori della propria famiglia, limitando l’accesso a palestre, parchi e altri luoghi in cui le persone possono essere fisicamente attive, in netto contrasto con quanto stabilito da questa ricerca scientifica che lega proprio l’attività fisica regolare ad una migliore prognosi riguardo sintomi gravi da COVID-19, oltre ai suoi effetti benefici su molteplici malattie croniche.

Ciò che è accaduto è che misure di controllo della pandemia hanno probabilmente avuto la conseguenza non intenzionale di ridurre ulteriormente l’attività fisica regolare.

“In questo studio – dichiarano gli autori – abbiamo utilizzato una cartella clinica elettronica (EHR) che ha catturato i comportamenti di attività fisica regolare auto-segnalati prima della pandemia per valutare l’ipotesi che il rispetto costante delle linee guida prima della diagnosi sia associato a esiti COVID-19 più favorevoli tra gli adulti infetti. Se si dimostra che l’attività fisica regolare è un comportamento protettivo per il COVID-19, dovrebbero essere compiuti sforzi per abilitare e incoraggiarla come mezzo per proteggere le persone da gravi esiti COVID-19”.

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